IL TOTEM CADUTO
Il rapporto sull’economia del global warming elaborato da Sir Nicholas Stern, economista con un passato alla Banca mondiale, per conto del cancelliere dello scacchiere Gordon Brown, sembra non lasciare spazio a dubbi: “il cambiamento del clima è una seria minaccia globale, e richiede urgentemente una risposta globale”. Secondo le proiezioni, se non verranno prese contromisure le perdite economiche, ambientali e umane determineranno una riduzione annuale di almeno il 5 per cento del prodotto interno lordo mondiale rispetto al tendenziale, che nelle condizioni peggiori potrebbe essere eroso addirittura del 20 per cento. La mitigazione del riscaldamento globale assorbirebbe invece l’1 per cento del Pil.
I critici accusano Stern di aver scommesso su ipotesi di partenza pessimistiche, in particolare per quel che riguarda il livello delle emissioni nel medio-lungo termine, l’effettiva influenza dei gas serra di origine antropogenica sul sistema climatico, e l’entità e il segno dei feedback (cioè le interazioni tra le sostanze presenti in atmosfera e i fenomeni che determinano). Lo scenario che Sir Nicholas adotta per le sue valutazioni è tratto dai modelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (l’organismo delle Nazioni Unite deputato a raccogliere l’evidenza scientifica ed economica sul riscaldamento globale), che sono stati ferocemente criticati, tra gli altri, da uno studio presentato dalla Commissione economia della Camera dei Lord. “Abbiamo delle perplessità riguardo l’oggettività del processo adottato dall’Ipcc – si legge nel documento – e i materiali riassuntivi appaiono viziati da considerazioni politiche. Ci sono dubbi significativi riguardo ad alcuni aspetti degli scenari dell’Ipcc, in particolare quelli in condizioni di emissioni elevate”. Proprio quelli che stanno alla base del lavoro di Stern.
D’altronde, la stima dei costi del cambiamento del clima si discosta significativamente dalle precedenti valutazioni. La rassegna dell’evidenza compiuta dai Lord, per esempio, suggerisce che “in termini di percentuale del Pil mondiale, il danno monetizzato [del riscaldamento globale] è relativamente basso... e l’entità dei costi è assai controversa”. Lo stesso Ipcc, nel 1996, stimava l’impatto del global warming attorno all’1,5-2 per cento del Pil globale ogni anno, una cifra ben inferiore al 5-10 per cento di Sir Nicholas. Un costo annuale dell’1 per cento del Pil è anche la conclusione a cui è arrivato nel 1992 William Cline. Dal lato dei costi di mitigazione, invece, le ipotesi di Stern sembrano collimare meglio con altre valutazioni: in particolare con quelle effettuate dall’International Council for Capital Formation, che ha preso in esame le principali economie europee e ha calcolato che il raggiungimento di obiettivi come quelli fissati dal protocollo di Kyoto potrebbe assorbire ogni anno una percentuale tra lo 0,5 e il 5 per cento del Pil nazionale. La principale vittima di questa convergenza, in termini di credibilità, è la Commissione europea, che ha sempre giocato a minimizzare l’impegno economico implicito nel protocollo di Kyoto. Va anche detto che il rapporto Stern, a dispetto dell’enfasi sui costi del riscaldamento globale, sottolinea che il mondo sarà comunque, alla fine del secolo, tra le 5 e le 10 volte più ricco di quanto non sia ora: il che implica, dopo tutto, che lo sfondo su cui l’effetto serra si proietta è meno cupo dei toni utilizzati per descriverlo. Né il rapporto è in grado di superare le incertezze che inevitabilmente affliggono il tentativo di spaziare con lo sguardo su un intero secolo: “parlando di global warming viene spesso brandito il supposto consenso – dice Jerry Taylor del Cato Institute – ma il consenso svanisce quando si va al sodo dell’economia. Si possono trovare tanti costi quanti benefici”. Naturalmente, l’esercizio ragionieristico acquista più sostanza quando si mette il naso negli impatti sui singoli settori. Per esempio, i trasporti aerei, accusati di produrre il 3 per cento delle emissioni, potrebbero dover applicare un ricarico sui biglietti di circa 9 euro: poca cosa per la maggior parte delle compagnie, ma un aumento significativo per quelle low cost.
Al di là della disputa sui numeri, il rapporto Stern ha un indubbio merito: quello di porre il dibattito sul riscaldamento globale in una prospettiva puramente economica, di comparazione dei costi e benefici attesi delle diverse strategie. Sgombrato il tavolo dalle profezie più o meno millenaristiche, cala il sipario sul sensazionalismo da fine-del-mondo e si torna a parlare di cose. L’effetto serra non è più visto come orizzonte ultimo dell’avventura umana, ma come un rischio che va affrontato e gestito, ma anche misurato per quello che è. Implicitamente, cade pure il totem di Kyoto: il protocollo diviene uno strumento tra i tanti. Così Stern ancha sottratto il global warming all’atmosfera mistica che da sempre lo circonda.
di Carlo Stagnaro -Il Foglio - 1 novembre 2006
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=0000001730Fonte: Il Foglio
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